Lo stupro Nanchino - China - 1937
I genicidi, ma più in generale i massacri commessi nel XX secolo sono stati tanti, purtroppo alcuni dimenticati, altri direi quasi sconosciuti. E' il caso dei crimini commessi dai giapponesi durante la Seconda Guerra Sino-Giapponese (7 luglio 1937-2 settembre 1945). La barbarie del governo e delle forze armate nipponiche, eguagliò ed in molti casi superò, per procedura, efferatezza, violenza gratuita, altre realtà ben conosciute dello stesso periodo.
In questo post, descriverò, almeno sommariamente, ciò che accadde nella città cinese di Nanchino, in verità però i crimini giapponesi sono tanti e si allargano su tutto il territorio del fronte e prendono due strade diverse: Il massacro gratuito di civili e prigionieri da parte delle forze armate, prassi abbondantemente consolidata ed utilizzata e poi, la storia dell' Unità 731. Tale unità faceva parte di un complesso vasto di laboratori militari giapponesi con a capo l'ufficiale medico Shirou Ishii. In questi laboratori e fuori da essi, il Dott. Ishii ha sperimentato tutto lo sperimentabile per i suoi studi medici, biologici, chimici, naturalmente su cavie umane e su popolazioni intere, tentando di inoculare e spessissimo riuscendoci, le pandemie più devastanti per il genere umano. Di questa storia però, scriverò presto su di un nuovo post.
Tornando a ciò che accadde a Nanchino ed in molte altre città assoggettate dai nipponici, è necessario fare alcune premesse sul soldato imperiale giapponese. Esso stesso, per cultura, per l'addestramento e l'inculcamento ricevuto, era convinto di essere superiore a qualsiasi altro popolo od esercito. Considerava i popoli vinti ed i soldati nemici arresi, esseri inferiori, insetti da schiacciare senza alcun rimorso, indegni di vivere la vita, da poter utilizzare per qualsiasi scopo, da stuprare, torturare ed uccidere, avendo la consapevolezza di restare comunque impunito.
I prigionieri di guerra, avendo rinunciato a lottare fino alla fine, erano meritevoli di soffrire e di morire senza nessuna pietà. Il soldato giapponese, era una vera macchina di morte, inarrestabile davanti a qualunque pericolo ed alla morte stessa. La resa non faceva parte del suo addestramento, semplicemente, non era prevista. Combattere fino all'ultimo respiro, non c'erano altre soluzioni. Questa idea di superiorità, di regole estreme su come doveva combattere e morire un soldato, hanno portato l'esercito imperiale a commettere ogni genere di nefandezze.
I fatti:
Nanchino, 13 dicembre 1937
Quando entrarono nella città di Nanchino, seguirono 6 settimane di orrore.Già durante la marcia verso la città, le popolazioni civili che abitavano lungo il cammino, assaggiarono la ferocia e la barbarie assoluta dei soldati nipponici. Nella città, solo una piccola zona fu risparmiata, perché gestita da europei ed americani, alla cui realizzazione, contribuì un uomo d'affari tedesco e rappresentante del partito nazista in Cina. A parte questa piccola oasi, tra l'altro non sempre risparmiata, nell'intera città si contarono 300.000 vittime, gli stupri furono alcune decine di migliaia. Moltissime donne e ragazzine furono regolarmente rapite e portate in bordelli per le truppe.
Per quanto riguarda le modalità con cui venivano massacrati i civili, si può dire che i giapponesi sperimentazione di tutto. Gli ufficiali giapponesi organizzarono gare su chi era più bravo a tagliare la testa ad un prigioniero, con un solo colpo di Katana. I media nazionali documentavano e riportavano con grande naturalezza tali fatti, anzi, era motivo di orgoglio. I soldati al fronte, inviavano le proprie foto a parenti, fidanzate, senza nessuna censura.
Molti cinesi vennero utilizzati a mo' di fantocci per addestrare le truppe all'uso della baionetta, altri furono orrendamente mutilati dei genitali e venduti tra i soldati come alimento afrodisiaco (cannibalismo).
Il diario di un soldato:
" Quando ci annoiavamo, passavamo il tempo ammazzando cinesi. Li seppellivamo vivi, li buttavamo nel fuoco ancora vivi o li picchiavamo fino all morte con le mazze, o li uccidavamo in altri modi crudeli."
I corpi degli uccisi furono in parte seppelliti in fosse comuni, migliaia buttati nel fiume Yangtze, altri bruciati. I cani randagi banchettavano sui resti degli sventurati.
Gli stupri furono un elemento importante nelle torture quotidiane, se ne contarono migliaia, di giorno e di notte e spesso avvenivano davanti agli occhi degli stessi familiari. Alla fine, alle donne violentate venivano recisi i seni ed uccise con baionetta o con armi da fuoco.
Un altro soldato giapponese:
"Mentre ne abusavamo, le donne venivano considerate esseri umani, ma quando le uccidevamo, non erano che maiali. Non ce ne vergognavamo assolutamente, non ci sentivamo minimamente in colpa, altrimenti non avremmo potuto farlo. Quando entravamo in un villaggio, la prima cosa che facevamo, era rubare il cibo, poi prendevamo le donne e le violentavamo. Infine, uccidevamo tutti gli uomini, le donne, i bambini, per essere sicuri che non potessero fuggire, e raccontare ai soldati cinesi dove ci trovavamo."
La modalità dei massacri, seguiva sempre la stessa logica in ogni città occupata. La prima cosa era scovare i soldati cinesi, portarli sulle sponde di un fiume o davanti ad una fossa ed ucciderli. A nanchino per esempio, 1.300 civili, sospetti militari, furono portati davanti alla porta di Taiping e fatti saltare in aria con l'esplosivo. I sopravvissuti, finiti con la baionetta oppure picchiati fino alla morte, cosparsi di benzina e dati alle fiamme.
Altre 12.000 persone, furono uccise e seppellite in una fossa lunga 300 metri e larga 5, chiamata, "il fosso dei 10.000"
Molti cinesi vennero utilizzati a mo' di fantocci per addestrare le truppe all'uso della baionetta, altri furono orrendamente mutilati dei genitali e venduti tra i soldati come alimento afrodisiaco (cannibalismo).
Il diario di un soldato:
" Quando ci annoiavamo, passavamo il tempo ammazzando cinesi. Li seppellivamo vivi, li buttavamo nel fuoco ancora vivi o li picchiavamo fino all morte con le mazze, o li uccidavamo in altri modi crudeli."
I corpi degli uccisi furono in parte seppelliti in fosse comuni, migliaia buttati nel fiume Yangtze, altri bruciati. I cani randagi banchettavano sui resti degli sventurati.
Gli stupri furono un elemento importante nelle torture quotidiane, se ne contarono migliaia, di giorno e di notte e spesso avvenivano davanti agli occhi degli stessi familiari. Alla fine, alle donne violentate venivano recisi i seni ed uccise con baionetta o con armi da fuoco.
Un altro soldato giapponese:
"Mentre ne abusavamo, le donne venivano considerate esseri umani, ma quando le uccidevamo, non erano che maiali. Non ce ne vergognavamo assolutamente, non ci sentivamo minimamente in colpa, altrimenti non avremmo potuto farlo. Quando entravamo in un villaggio, la prima cosa che facevamo, era rubare il cibo, poi prendevamo le donne e le violentavamo. Infine, uccidevamo tutti gli uomini, le donne, i bambini, per essere sicuri che non potessero fuggire, e raccontare ai soldati cinesi dove ci trovavamo."
La modalità dei massacri, seguiva sempre la stessa logica in ogni città occupata. La prima cosa era scovare i soldati cinesi, portarli sulle sponde di un fiume o davanti ad una fossa ed ucciderli. A nanchino per esempio, 1.300 civili, sospetti militari, furono portati davanti alla porta di Taiping e fatti saltare in aria con l'esplosivo. I sopravvissuti, finiti con la baionetta oppure picchiati fino alla morte, cosparsi di benzina e dati alle fiamme.
Altre 12.000 persone, furono uccise e seppellite in una fossa lunga 300 metri e larga 5, chiamata, "il fosso dei 10.000"